FotografArte - Enrica Noceto

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Martina Corgnati

Recensioni

Il sacro sottoterra - Arteingrotta 2011, Grotta di Bossea (CN)

"Grotta" è una parola che deriva dal latino volgare "grupta", corruzione del classico "crypta", cioè, in origine, luogo sotterraneo. Significativo e interessante il doppio destino di questa antica parola, che nella sua forma classica, "cripta", è passata a designare un luogo non solo sotterraneo ma consacrato, costruito e progettato in un certo modo per adattarsi alla preghiera. Grotta invece, la versione volgare, popolare, del termine, designa la variante "naturale", cioè semplicemente geologica, dello spazio sotterraneo, progettata non per culto o per cultura ma dalle vicende delle acque e degli strati di roccia, dall'erosione e dai ripiegamenti della crosta terrestre.
Ciononostante resta la parentela segreta della cripta e della grotta, l'associazione, che suonava ovvia agli antichi, fra spazio sotterraneo e luogo sacro, forse perché ogni grotta è connessa all'origine della vita in quanto primo rifugio e prima "casa" dell'uomo; ma, allo stesso tempo, essa è collegata alla morte, alla sepoltura, all'apertura su un'altra dimensione, ulteriore e certamente sacra.
Forse è per questo che la grande sala che accoglie i visitatori al centro delle Grotte di Bossea, nelle viscere viventi della montagna assordata dal rombo del torrente, è stata battezzata "Sala del Tempio". La ragione, forse, sta nella sua imponenza, la soggezione che incute, le risonanze che produce, relative ad ricordi atavici, antichi rituali, bisogni primordiali di protezione e di sicurezza da contrapporre come un baluardo alle paure fondamentali dell'uomo primitivo, all'angoscia di una notte fuori dal tempo.
Giungono a proposito le parole con cui Pinot Gallizio, il grande artista piemontese, commentava nel 1959 una sua importante opera, allora in corso di realizzazione, intitolata la Caverna dell'antimateria, ("caverna" anche questa, non a caso): <<Così io, piccolo mago dell'antimondo, cerco di descriverlo e creo la mia caverna, scatola con senso magico, esattamente come loro, impaurito, credo che il mio linguaggio sia sincero, magico, reale, anzi interreale, è per questo che il mio gioco è terribilmente semplice e quindi emotivo, irrazionale, fantastico, unico, artistico e quindi irripetibile, almeno come gesto. Nella mia caverna basterà uno specchio, piano concavo o convesso per creare un labirinto, un gioco di luce creerà nuove immagini fantastiche, con luce ultravioletta, normale, infrarossa calda, alta, bassa o riflessa con una superficie metallica esterna o portata dagli spettatori a mò di torcia … Dobbiamo far giocare i fruitori con dei gesti semplici, in un ambiente irreale … un sottofondo musicale, come di un fiume che scorra dentro o di un mare che batta sotto, creerà l'atmosfera ansiosa di un mondo in formazione … contro il mercato dell'arte, le emozioni che noi avremmo provocate rimarranno soltanto nello spazio e nel tempo che noi abbiamo creato. Non è materia vendibile, s'in ora l'aria non è ancora monopolizzata ... >>.
Le parole di Gallizio, una sintesi poetica scritta per spiegare al gallerista francese Renè Drouin la genesi dell'opera che sarebbe stata di lì a poco al centro della sua prima mostra personale, sono preziose per comprendere sentimenti, avvenimenti e sensazioni che hanno luogo nella caverna, ambiente irreale, ma anche ambiente cruciale di elaborazione della vita e del sacro.
Infatti, emozioni del genere hanno conquistato anche gli artisti che, quest'anno per la prima volta, hanno messo piede nella Sala del Tempio delle Grotte di Bossea. Perchè il progetto, ideato e sostenuto da Enrica Noceto, artista e fondatrice dell'Associazione Blu Genziana che, dal 2009 a questa parte, si è incaricata di organizzare e promuovere il primo incontro fra l'ambiente straordinario della grotta e la creatività altrettanto straordinaria degli artisti visivi, giunge quest'anno alla seconda edizione e si slancia alla scoperta di nuovi spazi. Come scrivevo in occasione della prima rassegna, nel giugno 2009, <<… Enrica Noceto ha scoperto la natura speciale di questo luogo e ha cominciato a coltivarla, come si coltiva una prospettiva e, al tempo stesso, un sogno: il sogno di trasformare quel luogo attraverso gli apporti creativi, imprevedibili e liberi del pensiero artistico; farne dunque un'opera collettiva, un work in progress perenne ed aperto di fronte all'illimitato potere dell'arte: quello, come diceva Klee, di "rendere visibile">>.
I primi venti coraggiosi "pionieri" che hanno accettato il suo invito e hanno collocato in permanenza il loro lavoro nel lungo corridoi di accesso, fra anfratti e spelonche, invasi d'acqua e licheni, dove l'umidità è al 100%, <<la luce delle lampade si abbatte come una lama sulle superfici e il visitatore è messo a confronto non con le condizioni "migliori" per apprezzare i lavori ma con una continua sfida ai suoi sensi e alle sue facoltà percettive - l'acqua satura di carbonati che gocciola addosso, il torrente che riempie l'aria del suo rombo assordante, il terreno vischioso>>, sono stati Franco Bratta, Gianni Busso, Silvia Calcagno, Aurelio Caminati, Claudio Carrieri, Gianni Celano Ginnici, Roberto Gaiezza, Roberto Giannotti, Adriano Leverone, Claudio Manfredi, Tullio Mazzotti, Enrica Noceto, Aldo Pagliaro, Salvatore Pino, Ylli Plaka, Francesco Preverino, Lucrezia Salerno, Carlo Sipsz, Giorgio Venturino e Guido Vigna.
In seguito, le intenzioni sono un po' cambiate e si è voluto provare a intervenire con una punteggiatura di opere, per certi versi più rarefatta ma per altri più incisiva, in uno spazio diverso e più impegnativo: la Sala del Tempio, con la sua solennità e l'antico, sacrale mistero della vita che essa custodisce nello scheletro dell'orso preistorico. Tutti gli artisti invitati quest'anno, Lorenzo Acquaviva Giusto, Dario Ghibaudo, Luca Missoni, Enrica Noceto e Sandra Zorzi, hanno accolto ed elaborato quest'atmosfera particolare, piena di fascino, veicolo di leggende e di suggestioni.
Per Lorenzo Giusto Acquaviva il viaggio nelle viscere della grotta è stato un ritorno alle sue personali origini, un'immersione nelle memorie imprecise ma brillanti dell'infanzia, quando ogni emozione conserva ancora tutta la pienezza delle proprie risorse fantastiche. Entrando nelle Grotte di Bossea Lorenzo Giusto Acquaviva, adulto, ha sentito, per un attimo, di ritornare bambino, realizzando così una specie di parabola sacra. Per questo il suo lavoro si ispira alla Genesi, al principio generativo articolato e messo in atto dalla terra, dai magmi al cristallo e dalle lave incandescenti alle rocce venate di scorie scintillanti e di incrostazioni luminose. La sua tecnica sperimentale, ghiotta e curiosa di ogni possibile innovazione formale e operativa nella lavorazione ceramica, gli ha permesso di incastonare una specie di gemma di cristallo lucente in un materno alveo ceramico: un vero e proprio fiore di terra.
Anche Sandra Zorzi si è ispirata alla Genesi: ogni caverna, a cominciare da quella di Postumia che l'artista aveva visitato da bambina, colla sua <<componente uterina nel susseguirsi di budelli e ampie caverne popolate di stalattiti e stalagmiti>>, è <<un gigantesco habitat per emozioni, in cui le forme, minerali ma anche in qualche modo organiche, i colori, continuamente cangianti alla luce parziale e strategicamente disposta, le vaste zone d'ombra, ogni cosa sembrava predisposta a sollecitare l'immaginario>>. Le Grotte di Bossea <<questo gigantesco e possente ventre primordiale>> non attendono altro che di accogliere un principio della vita che in esse si genera e si produce. Per questo il suo Brahamanda è un grande uovo ceramico, principio di ogni vita e nucleo base dello stesso universo. Esso porta un nome indiano che significa "l'uovo di Dio" o "uovo cosmico". Secondo la mitologia hindu, ha appunto la forma di un uovo il nucleo della creazione che scaturisce da Brahma, "il Principio Creatore", paragonabile a un punto, una pura virtualità la cui espansione sacra, il respiro, produce l'uovo dall'acqua, avviando così il ciclo creativo del mondo.
Da quel momento in avanti le cose si complicano, come ben sa Dario Ghibaudo, il cui Limite Ignoto è il mezzobusto di un ominide che sembra sfuggito dalle bacheche di un vecchio museo di storia naturale. Raffinato e prezioso nella sua pelle levigata che sembra bianchissima porcellana, esso ha occhi bellissimi, di un improbabile azzurro ed appare misteriosamente vivente nonostante l'aspetto statuario e irrigidito. Il suo sguardo viene da lontano, porta con sé abissi di coscienza, in cui regni e generazioni si confondono. Cos'è uomo e cos'è animale ? alla luce radiante e misteriosa della grotta, l'aulico mezzobusto sembra porci silenziose e imbarazzanti domande. Dario Ghibaudo, nel suo "Museo di Storia Innaturale" ha esplorato più volte i continenti galleggianti sui cieli del mito e delle biologia. Lì Jorge Louis Borges incontra l'ominide Olduvai, o qualche suo stretto parente che forse ha abitato in qualche grotta come questa più o meno due milioni di anni fa.
Chissà se aveva gli occhi azzurri come il principe delle favole ? Enrica Noceto non se lo chiede ma esplora, a sua volta, un passaggio strategico di questo continente intermedio, a creazione avvenuta. Qui però non si tratta di genesi biologica, di passaggi segreti nell'evoluzione darwiniana, ma di crescita spirituale e morale. Enrica Noceto infatti, cui, come ho già detto, si deve il merito di aver intrapreso l'avventuroso percorso dell'arte in grotta e di proseguirlo con perseveranza e convinzione, nelle sue opere recenti lascia spesso affiorare un tema "morale": in questo caso la scelta che spetta all'uomo reso arbitro del destino delle cose. << Il cammino verso il destino dell'umanità avviene attraverso il viaggio di ogni uomo che durante il suo percorso di vita si pone delle domande sulle quali riflettere e per le quali agire>>, dichiara l'artista. La domanda, nel caso di questa opera, è incisa sulle due facce di grandi monete modellate con la terra. Una faccia reca impresso il simbolo della natura, l'altra quello del denaro. Spetta all'uomo scegliere se prendere per sé, trasformando in valore economico quella che, in origine, è semplice sostrato della vita, oppure lasciarlo essere ciò che è, facendo una scelta "leggera", dall'impatto lieve e, oggi potremmo dire, "ecologista". La questione risulta specialmente importante in un ambiente come quello della grotta che, in primo luogo, è un ecosistema fragile e delicato, il cui destino può essere inalterato irrimediabilmente da una pressione umana troppo invasiva. Per questo la grotta diventa metafora dell'intero pianeta e della natura in generale. Cosa ce ne facciamo ? La monetizziamo e la distruggiamo a nostro esclusivo beneficio, e di corta durata, o lo conserviamo innanzitutto per ciò che è, e per ciò da cui abbiamo tratto la nostra stessa esistenza ? L'arte si candida ad un'assunzione di responsabilità di tutto questo, un tema difficile ma, nei nostri tempi, cruciale.
Infine, l'intervento di Luca Missoni spalanca di nuovo sotto le volte della grotta gli spazi fecondi e fantastici del mito. Come scrivevo un paio di anni fa, <<servendosi  di una Nikon tanto "classica" quanto affidabile (niente digitale), l'artista ha fotografato la luna innumerevoli volte, cercando di catturarne i contrasti, i rilievi, le ombre. Le sue foto sarebbero piaciute ad Ansel Adams per la purezza dell'immagine, la perfezione nelle scelte di tempi di esposizione e di aperture del diaframma; e ancora per la nitidezza delle linee, il rilievo dei volumi. Missoni condivide con la Straight Photography appunto quel rigore che trasforma la funzione "indicale" della fotografia in estetica. Il suo carattere preciso ed esigente e la passione per i marchingegni l'hanno portato a un dominio assoluto delle sue scelte tattiche, e a decidere di seguire passo a passo tutti i passaggi di formazione dell'immagine, dallo scatto alla camera oscura>>.
E anche nel cuore delle Grotte di Bossea l'artista ha portato i suoi astri colorati, una vera e propria epifania dalla straordinaria suggestione che, grazie a un sapiente gioco di luci, sembra accadere proprio davanti ai nostri occhi. Non luna, anzi, ma lune, un gioco fantastico di satelliti minerali variamente colorati che sorgono dalle viscere della terra.
D'altra parte, non potrebbe essere andata proprio così ? il nostro carissimo e poetico satellite, per cui Missoni  nutre una vera e propria passione da molti anni, è nato dalle viscere della terra, scaraventato fuori dalla forza centrifuga nella fase ancestrale e impetuosa che ha visto la formazione del Sistema Solare. Da quel momento, più o meno acciaccato da eruzioni vulcaniche e compressioni geologiche, ruota intorno a noi in un'orbita stabile, attirando le meteore, i versi dei poeti e lo sguardo degli amanti. In altri mondi poi, e pianeti vicini al nostro, il satellite non è solo ma transita in coppia o in compagnia di altri, più o meno grandi e lontani: Saturno, per esempio, ne ha almeno 60 (ma il numero esatto è sconosciuto), Giove per il momento ne ha 63, molti dei quali ancora in attesa di battesimo.
Luca Missoni con le sue lune multiple accenna a un altro destino possibile per il pianeta e i suoi satelliti, un destino che potrebbe ricominciare, forse un giorno di un'altra fase cosmica, proprio da una grotta. E così facendo rivisita il mito di Endimione, il giovane bellissimo che, addormentato in una grotta, cattura lo sguardo e l'amore della Luna. Ed infatti eccola bellissima, precipitata qui.

Martina Corgnati



 
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